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Novità nello sviluppo di tecnologie solari, il nuovo sistema sviluppato da Francesco Negrisolo ex progettista di amplificatori ottici per conto di pirelli cavi sfrutta proprio uno dei difetti legati ai pannelli fotovoltaici tradizionali: Il calore. Sappiamo ormai tutti che uno dei problemi legati al rendimento dei pannelli fotovoltaici era legato al calore del componente che, anche per evitare resistenze interne dannose per il rendimento del sistema, doveva essere tenuto il più basso possibile oppure parzialmente dissipato in vari modi.
Ebbene, l’idea geniale è stata quella non di evitare ma di incentivare un difetto sfruttandolo a proprio favore seppur introducendo un passaggio in più, il nuovo pannello si può definire fotovoltaico termodinamico, infatti il pannello stesso è progettato per un grande sviluppo di calore che viene sfruttato nelle fasi successive. Vediamo come:

L’idea è un pannello che assomiglia moltissimo a quelli tradizionali termici in un piccolo impianto di solare termodinamico. Invece di scaldare una miscela di acqua fino a 80-100 °C, infatti, la temperatura del liquido che circola nel pannello può arrivare anche a 250 °C. «La luce viene in un certo senso raddrizzata, grazie a un sistema di specchi, ma non solo, ci sono tanti principi che lavorano insieme. Il risultato è un sistema capace di catturare la luce ovunque sia il sole senza bisogno di inseguirlo con sistemi meccanici che spostino il pannello». E il pannello, proprio quelli termici tradizionali, è in grado di raccogliere anche l’energia diffusa, quella delle giornate nuvolose, e non solo la luce diretta. Ma cosa succede al calore raccolto dai nuovi pannelli, che più correttamente vengono chiamati “collettori solari”? Qui c’è la seconda novità. Il calore viene immagazzinato in una “batteria termica” che ha le dimensioni di un grosso frigorifero. Le batterie di questo genere esistono già, non le ha inventate Negrisolo. Lui però ha trovato una miscela molto semplice del liquido con cui funzionano che può lavorare bene tra 100 e 200 °C.

Le batterie, come i pannelli, sono un sistema modulare: a seconda delle esigenze ciascuno può scegliere quante installarne. Per una famiglia, una dovrebbe essere sufficiente: meno di 2 metri cubi di batteria possono accumulare energia termica pari a 75 kWh. «Per l’uso domestico limiteremo anche la temperatura a 160 °C. Ma la cosa più importante è che la nostra batteria si può adattare facilmente a diverse temperature di utilizzo».

Questo è un po’ il cuore del sistema Ohikia. Perché è da qui che parte il vero sfruttamento dell’energia assorbita. Il primo uso è ovviamente quello del riscaldamento: non solo quello domestico, ma anche il riscaldamento che può servire a laboratori o piccole industrie come i birrifici o gli impianti di essicazione, per esempio. Oppure il calore può essere trasferito a un “chiller”, ossia un apparecchio che trasforma il caldo in freddo, per rifornire impianti di condizionamento oppure frigoriferi grandi e piccoli, come quelli di un supermercato. Infine, il calore può passare a un generatore di corrente elettrica. Ma non un generatore tradizionale, né una turbina «che si romperebbe in fretta e avrebbe comunque un’efficienza bassissima». Ohikia si è rivolta a un partner specializzato nei sistemi di generazione per mettere a punto una versione particolare di un generatore che lavora con gas che si espandono a pressione costante.